Mo.Li.Te. – Movimento per la Liberazione dalla Tecnocrazia
Un anno dopo il Decreto della Liberazione 2020

ยซร una societร di persone sole, di consumatori bulimici, di spettatori assuefatti dagli orizzonti corti e frammentatiยป
Alexander Langer
Sono passati un anno, due Pasque e due Equinozi di Primavera dal grande confinamento che ha rivelato lโessenza dellโepoca che stiamo vivendo, la globalizzazione capitalista dellโinizio del terzo millennio.
Quando abbiamo deciso di scrivere un fantascientifico Decreto della Liberazione, a ridosso del 25 aprile 2020, venivamo giร da anni difficili in cui spesso avevamo dovuto fare scelte forti per continuare a sopravvivere, e magari continuare a portare avanti i nostri sogni, senza che venissero fagocitati dallโaziendalizzazione delle esistenze che la tecnocrazia, con tutti i suoi strumenti di finto progresso, ci aveva imposto.
Avevamo giร visto, da anni, distruggere comunitร e territori, alienare noi e le generazioni piรน giovani con troppa inutile vita virtuale, impoverire i linguaggi e le culture umane, saccheggiare popolazioni e inferocire le relazioni umane.
Venivamo dalle strade di Genova del luglio 2001, dalle lotte No Tav e No Tap, dallo zapatismo, dalla decrescita, da esperienze comunitarie, da gruppi di autocoscienza, da decenni di economie alternative tentate e a volte riuscite, ma anche da percorsi personali di crescita, da rivoluzioni dello stile di vita, da convivenze e condivisioni di vario tipo, insomma da fratellanza e sorellanza tentata e piรน o meno riuscita in mezzo al deserto di socialitร che ci stavano facendo intorno.
Venivamo da parole che ci risuonavano nella mente e nel cuore da tempo: cambiare il mondo senza prendere il potere, prendersi cura di sรฉ e del mondo, โvotareโ ogni volta che si fa la spesa, essere il cambiamento che si vuole vedere nel mondo. Andare verso un altro mondo possibile.
Sapevamo che non si trattava piรน di aspettare un sol dellโavvenire.
Si trattava di fare unโaltra vita, qui ed ora.
Certo bisogna farne di strada da una ginnastica dโobbedienza
Disobbedire e disertare il capitalismo, il patriarcato, il potere secolare e millenario arrivato al capolinea violento della globalizzazione, non era una cosa facile. Si trattava di mettere in discussione un poโ tutto. E non a parole. Si trattava di partire dal fondo del fondo del pozzo, non semplicemente cambiare supermercato, passare da quello cattivo a quello buono, da quello sporco a quello green.
Significava mettere in discussione il sistema dentro di sรฉ: quello fatto di tempo che non cโรจ, fatto di fast food e pervasivitร della chimica, fatto di medicine per mettere le toppe alle ansie e agli scompensi immunitari, fatto di relazioni false che ti scappano di mano, fatto di denaro diventato ordine simbolico di tutto lโesistente. Di isolamento sociale, di nevrosi e psicosi. In una parola, di infelicitร .
Significava cambiare nel profondo: uscire dagli slogan della vecchia sinistra novecentesca senza incappare nelle sirene del nuovismo capitalista tecnocratico e scientista, per mettere al centro la relazione con sรฉ stessi, con le altre e gli altri, con il resto del mondo. E sapevamo che non era facile.
Significava mettere in discussione il modo in cui facevamo la spesa, il modo in cui lavoravamo e producevamo ricchezza e povertร , il modo in cui ci muovevamo, il modo in cui educavamo e anche il modo in cui ci curavamo: tutte queste forme necessarie di esistenza erano state ed erano ancora parte integrante dei meccanismi di potere da cui eravamo stati colonizzati nella nostra crescita consumista.
Decolonizzare lโimmaginario significava andare nel profondo dei nostri meccanismi inconsci, e non bastava dirlo per riuscire a farlo: occorrevano percorsi profondi, lenti, duri di liberazione.
Forse una cosa perรฒ non lโavevamo messa in conto nel grado giusto: la ginnastica dโobbedienza che avrebbero continuato a praticare tutte quelle e quelli talmente impauriti dallโuscita dai binari, da accettare persino lโimpossibile piuttosto che guardare in faccia la realtร . Accettare persino una vita disumana. Persino il bavaglio permanente, la vita perenne davanti a uno schermo, la paura fisica dellโessere umano.
Ha scritto il filosofo Giorgio Agamben, qualche giorno fa:
ยซQual รจ la figura della nuda vita che รจ oggi in questione nella gestione della pandemia? Non รจ tanto il malato, che pure viene isolato e trattato come mai un paziente รจ stato trattato nella storia della medicina; รจ, piuttosto, il contagiato o โ come viene definito con una formula contraddittoria โ il malato asintomatico, cioรจ qualcosa che ciascun uomo รจ virtualmente, anche senza saperlo. In questione non รจ tanto la salute, quanto piuttosto una vita nรฉ sana nรฉ malata, che, come tale, in quanto potenzialmente patogena, puรฒ essere privata delle sue libertร e assoggettata a divieti e controlli di ogni specie. Tutti gli uomini sono, in questo senso, virtualmente dei malati asintomatici. La sola identitร di questa vita fluttuante fra la malattia e la salute รจ di essere il destinatario del tampone e del vaccino, che, come il battesimo di una nuova religione, definiscono la figura rovesciata di quella che un tempo si chiamava cittadinanza. Battesimo non piรน indelebile, ma necessariamente provvisorio e rinnovabile, perchรฉ il neo-cittadino, che dovrร sempre esibirne il certificato, non ha piรน diritti inalienabili e indecidibili, ma solo obblighi che devono esser incessantemente decisi e aggiornati.ยป
Quel che dirร di me alla gente
Nellโanno che รจ passato, piรน o meno dallโEquinozio della Primavera 2020, abbiamo visto esplodere tutte le micce che erano state accese nei decenni precedenti. Abbiamo visto topi umani in trappole virtuali farsi la guerra tra di loro su cose che non conoscevano, ma di cui credevano di avere conoscenze certe in quanto dette dagli esperti. Abbiamo visto donne e uomini, cantanti, politici, compagne e compagni, membri di associazioni e movimenti, intellettuali progressisti, giornalisti, uomini e donne di spettacolo, cantanti, attrici, influencer e tutti i membri della societร civile evoluta, regredire allo stadio di odiatori seriali nei confronti di qualsiasi critica che venisse mossa alla narrazione unica, a reti unificate, incessante, ossessiva, psicotizzante e insopportabile, che riguardasse la gestione dellโemergenza epidemiologica da covid 19.
Abbiamo visto noi stesse/i perseguitate/i in tutti i modi possibili, su qualunque fronte, reale o virtuale che fosse, da orde di paranoici. Abbiamo visto sbagliare cure, impedirne altre, imporne altre ancora e silenziare qualsiasi voce possibile che deviasse anche minimamente dai sedicenti professionisti dellโinformazione. Nonostante nessuno di noi abbia mai negato le sofferenze vissute dalle persone: ma di sofferenze ce ne sono state di vario tipo, tante, troppe, e la maggior parte si sarebbero potute evitare se non fossero state le multinazionali capitaliste a gestire il potere del sistema internazionale. Ma questo naturalmente era impossibile, dato che giร le multinazionali capitaliste governavano la politica globale. Per questo, se prima un altro mondo era possibile, poi รจ diventato necessario, poi รจ diventato emergenza, ora รจ diventato lโunica possibile via di salvezza.
Abbiamo visto nascere una task force governativa dellโinformazione, formata dai peggiori giornalisti in circolazione, lโabbiamo vista dirigere e imporre come unica e grande paura quella delle fake news, dei complotti, mentre veniva fornita una delle versioni piรน false, antiscientifiche e vergognose, di un evento sanitario, che la storia umana ricordi.
Abbiamo assistito, in sintesi, a quello che un anno fa nemmeno noi volevamo accettare: lโaffermazione di una inedita, sui generis, innovativa e raffinatissima dittatura diffusa su scala globale.
Non riuscire piรน a capire che non ci sono poteri buoni
ยซChe danno ci farร un sistema che ci stordisce di bisogni artificiali per farci dimenticare i bisogni reali? Come si possono misurare le mutilazioni dellโanima umana?ยป
Eduardo Galeano
Non รจ stato un caso che proprio la societร civile progressista, proprio quella che ha ascoltato De Andrรฉ e letto Pasolini e Gramsci, quella che รจ cresciuta con i valori giusti, i valori della resistenza alla barbarie del potere, fosse lโobiettivo sensibile principale della dittatura globale fondata sullo scientismo tecnocratico.
Si trattava, giร da quel lontano fine millennio in cui si stava costruendo il nuovo potere occidentale delle multinazionali, di mettere definitivamente in soffitta i vecchi e inutilizzabili strumenti di oppressione: dittature classiche, squadrismi, intolleranze religiose, morali bigotte. Questi strumenti non funzionavano piรน, non avevano piรน presa nei confronti di una societร a cui era stato concesso tutto, e anche troppo, compresa la possibilitร di studiare.
Cโera unโultima arma che il potere occidentale poteva usare, lโarma finale: il distacco totale delle menti dai corpi, la frattura definitiva delle parole dalle cose.
Grazie a questโarma, i peggiori oppressori avrebbero potuto senza problemi imporre qualsiasi obbligo, qualsiasi business, qualsiasi violenza, mentre contemporaneamente promuovevano a parole diritti civili, antirazzismo, paritร di genere, sviluppo sostenibile e fratellanza tra i popoli.
Qualunque destra violenta, usando i termini della sinistra, avrebbe potuto prendere il potere.
La disinformazione onnipresente avrebbe sancito il distacco definitivo della realtร virtuale dalla realtร vera.
Lโinfodemia avrebbe reso possibile lโimpossibile.
Ha detto il premio nobel per la Fisica Richard Feynman:
ยซIl problema non รจ che le persone siano ignoranti. Il problema รจ che le persone sono istruite quel tanto che basta per credere a ciรฒ che รจ stato loro insegnato e non abbastanza istruite per mettere in dubbio qualsiasi cosa di ciรฒ che รจ stato insegnato loroยป.
Ora sappiamo che รจ un delitto il non rubare quando si ha fame
Cโรจ un piccolo particolare ineludibile e refrattario alle dinamiche di potere, tuttavia: la realtร vera nel frattempo esiste ancora.
Esistono i corpi, esiste la terra, esistono bambini e ragazzi che non ce la fanno piรน, pance e tasche vuote, abbracci che si danno clandestinamente, fughe in campagna, sesso, amore, amicizia, paesi, cittร , popolazioni, che per quanto disperate, alienate e saccheggiate, raggirate e ancora incapaci di comprendere gli obiettivi verso cui rivolgere il proprio malessere, sono lรฌ. Si svegliano la mattina e devono passare la giornata, e non sempre lโipnosi tecnologica, lโaccanimento terapeutico per sedare il panico e la schiavitรน lavorativa dello smart working, riescono a silenziare.
La realtร รจ imprevedibile, la vita รจ unโavventura, il mondo รจ bello: รจ quello il problema. Quando non si ha da mangiare, se altro non si puรฒ fare, si ruba. Si rubano cene con gli amici, baci e abbracci, scorte dai supermercati, per chi non รจ ancora riuscito a tornare verso le autoproduzioni e le economie locali, cioรจ la maggior parte della popolazione occidentale.
In questa situazione, potrebbero scoppiare perfino i templi della civiltร industriale consumista: le cittร e le metropoli.
Imprigionarli durante lโora di libertร
Ci avete chiesto in tante e tanti, subito dopo la pubblicazione del nostro โDecretoโ e dopo anche le โFAQโ, di fare qualcosa. Di creare reti, di fare un movimento vero nella vita reale, a volte anche di partecipare a percorsi collettivi di crescita evolutiva, di pensare ad ecovillaggi, comuni e quantโaltro.
Non potevamo farlo, e per un semplice motivo che ora, finalmente, vi spiegheremo: semplicemente, lo stavamo giร facendo.
Le circa 10-15 persone che si sono coinvolte nella genesi del Mo.Li.Te., che hanno scritto o anche solo letto e discusso, ma anche le altre che sono state accanto a queste 10-15, come probabilmente molte di voi che avete sentito risuonare dentro le loro parole, sono giร impegnate in uno o piรน territori a cercare di resistere a tutto questo e a tenere in vita la vita.
Quello che abbiamo fatto รจ stato solo creare un riflesso collettivo di quello che stava succedendo, di bisogni emergenti che sapevamo benissimo esistere anche se facevano e fanno fatica a trovare spazio di dicibilitร pubblica: quello che sentivate voi, cioรจ che questo non bastava, che non bastava incontrarsi online, che stava succedendo qualcosa di tremendo che andava contrastato, lo sentivamo anche noi. Ma non potevamo fare niente di piรน di quello che abbiamo fatto, e per un semplice motivo: quello che abbiamo fatto รจ stato innanzitutto metterci in discussione, in connessione, in relazione. Seppure allโinizio solo virtualmente, ma era comunque quello che potevamo fare con quello che potevamo avere in quel momento.
Le energie innescate dentro di noi e tra di noi un anno fa, sono servite principalmente a noi, a sopravvivere, perchรฉ le energie sono importanti, e quando le energie finiscono ci si ammala: era questa la cosa principale, non ammalarsi. Anzi, iniziare a guarire: nel corpo, nella mente, nello spirito e nelle emozioni, che poi fanno parte di unโentitร unica che ognuna e ognuno di noi รจ. Perchรฉ noi non siamo macchine, come vorrebbe invece la vecchia mentalitร ottocentesca riduzionista ancora in auge.
Siete per sempre coinvolti
Ora non รจ come allora. Ora sono passati un anno, due Pasque e due Equinozi di Primavera ed รจ molto piรน chiaro il fatto che tutto questo non finirร . Continueranno a psicotizzare le masse con il bastone e la carota, come senza vergogna รจ riuscito a dire solo qualche giorno fa uno dei tanti pagliacci televisivi scambiati per luminari della medicina (ยซnon solo bastone, ora ci vuole la carotaยป).
Ma ora non รจ piรน nemmeno come allโepoca delle manifestazioni, dei movimenti di massa, e non lo รจ piรน da decenni ormai: la massa รจ disgregata e si violenta al suo interno, si auto-massacra online tra i commenti dei social network ogni giorno, dove ognuno vede lโaltro come un nemico contro cui gettare frustrazioni. ร impossibile pensare ad una reale resistenza di massa in questo scenario.
Bisogna prima ricostruire questa possibilitร , sfruttando le occasioni che ci sono, che possono essere tante. Un esempio? Luglio 2021 a Genova. Per riprendere il filo interrotto dell’altro mondo possibile. Ad esempio.
Ma dobbiamo tornare principalmente alla vita, riprendercela e non farcela concedere.
Non รจ impossibile riunirsi, trovarsi.
Alla luce del sole o clandestinamente.
Tirando dentro chiunque condivida quello che noi pensiamo di aver visto.
Qualunque sia la sua professione, propensione, produzione, di pensieri o di oggetti, di arnesi o teorie, di note o colori, qualunque sia il contributo e qualunque sia il modo di aggregarsi.
Non aspettate che siamo noi a dirvelo, ditecelo voi: dove ci troviamo? Quando?
In un posto o in cento posti? In campagna? Al mare? In cittร ? In montagna?
Invitateci, organizzate assembramenti, adunate sediziose, circoli di autocoscienza, feste e baccanali, banchetti crudisti, serate di esplorazioni erotiche, qualunque cosa che ci faccia urlare al mondo e alle stelle che siamo vive e vivi.
Non importa che siamo tutte e tutti in un posto, disseminiamoci e germogliamo.
Se sarร utile e se ci saranno le energie, terremo una mappa di possibili luoghi liberati e la faremo circolare.
Il Mo.Li.Te. – Movimento per la Liberazione dalla Tecnocrazia, se deve continuare ad esistere, siete voi, insieme a noi.
Continuate a leggerci qui sopra, e se avete qualcosa da proporci, scriveteci.
Partiamo da noi senza farci trovare. E ci troveremo.
Fuori dalla guerra psichica del potere.
La vita รจ altrove.
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Il titolo principale, i titoli dei paragrafi di questo testo e le parole scritte su un muro di Genova riportate nella foto qui sotto, fanno parte del brano di Fabrizio De Andrรจ: ยซNella mia ora di libertร ยป
