Le Faq al Decreto. Fine del Molite

Dall’uscita del nostro «Decreto della Liberazione», cioè dal 25 aprile 2020, ci sono arrivati numerosi messaggi che non ci aspettavamo. È arrivato quindi il momento che anche noi, come ogni ente che si rispetti, integriamo le nostre disposizioni con delle risposte chiarificanti alle FAQ, cioè alle domande più frequenti.

Finita la Fase 1 però abbiamo capito che il Mo.Li.Te – Movimento per la Liberazione dalla Tecnocrazia, non ha più senso di esistere. Tutto quello che abbiamo scritto, comprese queste FAQ che leggerete, saranno i semi che faranno germogliare qualcosa di nuovo.

Per chiunque voglia continuare a tessere con noi fili di liberazione e di costruzione di un altro mondo possibile, resterà aperta la casella di posta:

molite.movimento@gmail.com

Sarà l’unico contatto a cui risponderemo, i social resteranno aperti come testimonianza e naturalmente per eventuali discussioni tra singoli riguardo a quanto già esiste.

Per coloro a cui sono risuonate le nostre parole, le nostre idee e le nostre pratiche.

Per chiunque abbia desiderio o voglia di creare nuovi spazi o nuove collettività che pratichino la messa in discussione della globalizzazione, del capitalismo tecnocratico scientista e dei fascismi vecchi e nuovi.

Siamo sicure e sicuri che potranno germogliare grandi cose per andare oltre il mondo distopico che l’economia liberista ci vorrebbe prospettare.

Si tratta solo di tessere le trame di tutte le cose positive che già ci sono.


CHI SIETE?

“E se voi farete intervenire la forza pubblica noi ci opporremo con la nostra debolezza privata”

Totò

La prendiamo un attimo alla larga, ma provate a seguirci. In un convegno del settembre 2017 presso il Cicap – Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, Silvio Garattini, presidente di una fondazione privata di ricerche farmacologiche, tiene una lectio magistralis per smascherare la «finta scienza». Ma si evince subito che i suoi obiettivi non sono i seguaci del paranormale, bensì suoi colleghi medici e ricercatori che hanno idee e pratiche diverse dalla sua. Obiettivo legittimo naturalmente, quello di criticare. All’interno però di questa conferenza – che si può ascoltare online su youtube – Garattini stila un arbitrario «decalogo del perfetto credulone» (visionabile dal minuto 7), in cui invita a fare attenzione ad una serie di persone che hanno almeno «due o tre» delle seguenti caratteristiche, tra cui ad esempio vegetarianesimo, alimentazione biologica e metodi di cura «non ortodossi».



Ecco, noi siamo l’obiettivo perfetto di Garattini: siamo le vittime di un populismo scientista a cui non si dovrebbe lasciare molto spazio, un punto di vista tutto sommato violento e anacronistico, in quanto pieno di acredine e incapace di confrontarsi con il nuovo, fermo a modelli di pensiero ottocenteschi, che mischia la rava e la fava, come si dice, per ridicolizzare e rendere alcune categorie sociali obiettivi sensibili della massa inferocita. Il problema è che il discorso populista e socialmente pericoloso di Garattini si inserisce perfettamente nello scenario del 2017, quello cioè di una inedita crociata mediatica, un martellamento pubblico ossessivo, una criminalizzazione senza precedenti contro tutto quello che non sia «ortodosso» dal presunto punto di vista «scientifico»: digiunoterapia, genitori vegani, omeopatia, «setta» macrobiotica, genitori «no vax» a cui occorre togliere la patria potestà, medici che si permettono di dissentire rispetto all’appena varata Legge Lorenzin (la legge 119/2017 che impone l’obbligo di dieci vaccini pediatrici per poter frequentare le scuole pubbliche e private). Una parte politica è quella che raccoglie voti da questo odio, cioè il centrosinistra. Gli attori del neoliberismo, cioè l’economia e la finanza capitaliste, gestiscono e si accrescono.

Ma il problema non finisce qui. Nello stesso periodo si leva in Italia un’ondata razzista senza precedenti, dove politici neofascisti, in primis Salvini, cavalcano l’odio nei confronti di cambiamenti sociali in atto, cioè la seppur problematica creazione di una società multietnica (frutto purtroppo soprattutto della violenza capitalista nei paesi non occidentali, più che di una volontà libera di emigrare, come sappiamo). E accanto a questo, cresce l’odio di una parte di società impaurita dalle libertà sessuali e dalla messa in discussione del patriarcato da parte dei femminismi e del movimento LGBT(QIA+). Tutto ciò, ossia il populismo razzista, porta voti al centrodestra nelle sue nuove evoluzioni e in parte ai 5 stelle, che però essendo un po’ tutto – compreso un partito che fa finta di essere un movimento – prende e perde un po’ su ogni argomento. Noi siamo l’obiettivo perfetto anche di questa parte politica: siamo antifasciste, antirazziste, antisessiste, alcune di noi lavorano o fanno attivismo all’interno di realtà che si occupano di disagio sociale, migranti, diritti delle donne, e molto altro. Anche qui gli attori del neoliberismo, cioè l’economia e la finanza capitaliste, gestiscono e si accrescono.



Forse ora è più chiaro il problema. Ed è un po’ diverso dall’immagine macchiettistica di cinque potenti rinchiusi nella stanza dei bottoni del mondo. Forse è più realistica l’immagine di faide mafiose che si fronteggiano e sfruttano le carte della politica per fingere la presenza di un dibattito democratico, ad esempio la faida delle multinazionali hi-tech e bio-tech contro la faida delle multinazionali petrolifere e dell’industria pesante, che potrebbe entrarci qualcosa ad esempio nel dibattito tra la fazione del tenere chiuso tutto e quella del riaprire subito le industrie: un popolo che consuma vita virtuale da tenere segregato fino al prossimo TSO di massa, contro un popolo che ritorna alla routine ossessiva distruttiva e insensata. Ma il modello di civiltà è lo stesso, sono gli interessi che cambiano.

Noi siamo un piccolo gruppo di persone che non rappresenta nessuno ma fa parte di una grandissima, seppur minoritaria, fetta di decine di migliaia di persone in Italia (e milioni nel mondo) che hanno messo in discussione la società capitalista sia dal punto di vista delle sue leggi morali ereditate dal patriarcato riadattato alla contemporaneità, sia dal punto di vista delle sue leggi economiche che si spacciano per nuovo che avanza. Il Subcomandante Marcos e la rivoluzione zapatista, iniziata negli anni Novanta nella regione messicana del Chiapas, sono un esempio pratico e collettivo di questa messa in discussione, se volete un riferimento storico e politico. Da quelle esperienze abbiamo imparato che servono di più le pratiche di vita individuali e collettive, il personale politico, dell’attesa e del vagheggiamento di un «sol dell’avvenire».

Tutto questo poi accade in un momento storico, cioè gli ultimi 20-25 anni circa, in cui la violenza del capitalismo globale ha avuto una recrudescenza (globale) inaudita, e ha inaugurato ufficialmente una nuova fase nell’estate del 2001, con la gestione pubblica del G8 di Genova e l’attacco alle Twin Towers con le sue conseguenze geopolitiche.


E QUINDI CHI SIETE?

Si abrí los labios

para ver el rostro puro y terrible de mi patria,

si abrí los labios hasta desgarrármelos,

me queda la palabra.

(Se ho aperto le labbra

per vedere il volto puro e terribile della mia patria,

se ho aperto le labbra fino a strapparmele,

mi resta la parola)

Blas de Otero

Chi siamo veramente? In media abbiamo 40 anni, con una cultura cosidetta alta (per quello che conta), eterogenei per genere ma ci piace usare il femminile per il plurale collettivo, abituate a spostarci in luoghi diversi d’Italia o del mondo, con pratiche legate ai movimenti sociali, alle lotte territoriali No Tap, No Tav, No Muos e tante altre, ai mercati contadini, ai gruppi d’acquisto, alle realtà comunitarie urbane ed extraurbane, alla nuova pedagogia non autoritaria, ai centri diurni, alle associazioni dei e per i migranti, ai centri antiviolenza, alle reti contro il patriarcato, alle reti ecologiste, alle reti libertarie. E molto altro.

Ci sono le nostre vite, in parte giuste in parte sbagliate, in parte problematiche in parte felici, vite che non hanno accettato come ovvie le letture più scontate sull’amore, sulla coppia, sui consumi, sul cibo e su tante altre cose. E anche sul modo di fare società nel mondo consumista, cioè sui modi e gli spazi dello stare insieme, della vita collettiva: per questo ci siamo spesso trovate insieme a tante altre persone che volevano condividere pezzi di questi percorsi, e insieme abbiamo generato nuovi luoghi di confronto, anche fisici, fuori dalle logiche commerciali. E questo non vuol dire avere idee uguali su tutto, né una linea, né un sistema da opporre a un altro sistema. Ci sono idee e pratiche diverse, approcci più spirituali, più politici, più sociali, più intimisti, ma abbiamo di fondo un sentire comune trasversale che si pone in maniera dubitativa ed euristica, ma non vuole fondare un nuovo sistema di pensiero. Magari superare le dissociazioni che il sistema di pensiero dominante ha provocato dentro noi individui e dentro noi società.

Ma un altro problema – e ormai si è capito che sono tanti i problemi – affiora nel momento in cui ci chiediamo chi e quante siamo: quelle tante persone in partecipazione erano e sono probabilmente una piccola parte, rispetto a una maggioranza di popolazione occidentale che fa fatica anche solo ad ascoltare tutto questo, figuriamoci a partecipare. Una parte della società consapevolmente o meno vittima del consumismo, fatta di troppe persone ormai segregate, isolate, terrorizzate, psicotizzate. In una parola: una parte della società colonizzata. Ma una parte che vale per il tutto: è il modo di vivere occidentale, senza tempo, con relazioni false, dove ciò che conta deve essere monetizzato, vittima quotidiana di una violenza intrinseca inevitabile, strutturale, di cui tutte patiamo le conseguenze. Quindi tranquilli: noi siamo coinvolte nella società, nella vita che siamo tutte costrette a fare, e se godiamo di pochi spazi di libertà rispetto al classico produci-consuma-crepa è perché ce li siamo faticosamente conquistati questi spazi, ma sono continuamente messi in discussione. Lavoriamo, quando non ci sbattono fuori, buona parte di noi ha figli, paghiamo le tasse, accettiamo governi e stati di cui condividiamo ben poco, ma lo facciamo per senso di responsabilità umana, e forse lo abbiamo accettato anche fin troppo. Perché è tutto questo – crisi sociale, crisi ecologica, crisi economica – che ci ha portato fin qui.

Tutto questo infatti era precedente alla grande segregazione «causata» dal Covid19. Ma se tutto questo sta succedendo in così pochi anni, ci chiediamo, non sarà che il sistema sta esplodendo? O forse sta implodendo il sistema dentro di noi? Ci sono tante, troppe persone con cui abbiamo fatto questi discorsi che hanno paura ad avere un pensiero coerente e a dire la verità su quello che pensano e sulle loro pratiche di vita, per un motivo principale: hanno paura, di perdere il lavoro, di essere isolate socialmente, del fatto che la loro vita diventi invivibile. Eppure in questi mesi di isolamento sociale, di divieti di assembramento, di terrore dell’untore, ci siamo trovate a leggere cose interessantissime e a comunicare come forse mai. Come ogni momento storico determinante, ci siamo ritrovate faccia a faccia con le nostre paure, con le nostre fantasie distopiche che sembrano avverarsi, ma è risorta anche potente la voglia di confrontarsi, ritrovarsi, dare il nostro contributo. E visto che per un tempo lunghissimo qualsiasi spazio fisico di condivisione ci è stato precluso – e chissà per quanto continuerà ad essere problematico – ci rimane principalmente la parola come punto imprescindibile di partenza. Forse da tutto ciò è scaturita la necessità di una riflessione che partisse dal singolo per abbracciare una collettività, e che fosse una nuova possibilità di ritessere fili interrotti, almeno alcuni, quelli che abbiamo inserito nel nostro surreale decreto. Lo abbiamo fatto forse perché abbiamo timore, e tanto, di trovarci a vivere un mondo invivibile, il mondo del Covid19, o meglio il mondo della segregazione virtuale infinita? In cui rischiamo di non poter fare più liberamente le cose di fondo per cui veramente vale vivere: stare insieme, praticare cose interessanti, vivere luoghi belli? L’amicizia, l’amore, la natura, la cultura. Queste cose sovversive, rispetto a quella che abbiamo chiamato tecnocrazia.



COSA PORTATE?

“ E senza sogni, la libertà è solo un miraggio, un’illusione, un castello in aria che crolla al primo soffio”

Bjorn Larsson

Abbiamo scritto un decreto surreale, abbiamo attivato idee serie, abbiamo usato un tono ironico. Questo avevamo portato finora. Giocando sui decreti di emergenza, sui decaloghi, sul modo discutibile di usare gli strumenti istituzionali, sul modo di comunicare l’emergenza, di far leva sulle paure, sui paternalismi. Perché avevamo conati di parole che non sapevano più rimanere dentro, e le parole e i pensieri, quando sono generati dalla realtà e vivono nella realtà, sono concreti quanto le azioni che facciamo, anzi è questa stessa divisione una cosa fittizia.

Ma giustamente ci avete chiesto di più, ci avete chiesto di spiegarvi da dove veniamo e dove stiamo andando. Non sarà facile ma ci proviamo. Veniamo innanzitutto da pensieri, parole e pratiche di resistenza alla civiltà del dominio. Non è facile da descrivere con termini semplici ma ci proviamo.

La civiltà del dominio – della sottomissione della natura al regnum hominis da cui è nata la cultura moderna, della sottomissione di classe da parte del potere di turno a seconda del luogo e dell’epoca storica, la civiltà del dominio patriarcale che muta come un virus inarrestabile attraverso le sue fasi storiche – questa civiltà non si combatte con nessun fantomatico vaccino, ma richiede una presa di coscienza che porti ad un rapporto diverso con noi stesse e con l’esistente. L’ecologia della mente e tutti i pensieri e le pratiche che mettono in discussione la civiltà distruttiva e predatoria che abbiamo creato ci sono da fari e da guide. Sembra un discorso grande e insormontabile, ma è ormai più di un secolo che è divenuto centrale in molte discipline. La mentalità della guerra, della competizione, della difesa, dell’attacco e tutte le metafore che accompagnano ogni ambito della civiltà patriarcale-capitalista, sono il problema storico e attuale, immediato e profondo: da questo background culturale ed epistemologico nascono «competenze» che non sanno ragionare sull’armonia dell’insieme, ma solo su nemici da combattere, che siano virus o altri popoli.

Incellophanare le nostre vite, i nostri corpi, i nostri pensieri, i nostri figli e le nostre figlie in un asettico luogo virtuale circondato da un asfittico loculo di cemento reale, e tutto ciò per il bene, per difenderle da tutto ciò che è «attacco esterno»: è questo il modello mentale e culturale da decostruire dentro di noi.

Questo è solo il punto di partenza, non la soluzione dei problemi del mondo, la conditio sine qua non per poter iniziare a confrontarci, pur nelle nostre differenze, e  pur sapendo che nessuno di noi ha già decostruito questo cultura del dominio: dobbiamo aiutarci a vicenda per uscirne fuori, anche attraverso un lavoro di condivisione emotiva, di autocoscienza globale che parta dal personale.

Ragionare in quest’ottica è possibile con tutte e tutti quelli che vogliono confrontarsi, ma senza la richiesta di una direzione centrale, di un punto di riferimento che dia la linea. Il MoLiTe, o quello che è o sarà, se sarà, è solo una goccia che vuole espandersi e moltiplicarsi e che può essere condivisa da chiunque ne condivida questo punto di partenza.


SI’ MA QUANTI SIETE?

Siamo una decina quelle che hanno scritto il decreto. Un nucleo più o meno stabile di noi gravita nel Salento, ma sono coinvolti altri luoghi come la Sicilia, Roma, Torino. Quelle che hanno aiutato a scrivere ogni punto del decreto con le discussioni di questi giorni probabilmente sono più di cinquanta, forse anche più di cento, se contiamo amici complici amanti e congiunti vari. Ognuna si è presa le parti che stavano più a cuore, su cui aveva più urgenza, necessità di dire e fare, su cui ha più esperienza e pratica di vita, su cui ha più competenza anche di formazione.

Per contattarci

molite.movimento@gmail.com

2 pensieri riguardo “Le Faq al Decreto. Fine del Molite”

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